Dagli studi sull’autobiografia di questi ultimi venti anni, che implicano una ridefinizione del soggetto di scrittura, del canone e dell’autobiografia come pratica politica, oltre a una valorizzazione della memoria, sono venuti alcuni degli stimoli più interessanti riferibili non soltanto al campo letterario, ma a tutta la cultura di fine millennio. L’approccio autobiografico, utile a ripercorrere gli itinerari già attraversati e ad analizzarli per comprendere le dinamiche, può aiutare a liberarsi dai pregiudizi e dagli stereotipi indotti dall’esperienza culturale vissuta e a maturare idee e prospettive diverse. Ogni storia permette di prendere in considerazione fino alle conseguenze più estreme, pensieri ed emozioni da cui le convenzioni di vita ordinaria solitamente ci tengono lontani. È un processo di crescita personale che permette di conoscere l’esperienza propria e altrui. Ogni storia compresa tra la prospettiva del narratore e quella del ricevente, è un’opera aperta il cui significato si realizza soltanto grazie all’interpretazione che ne dà il destinatario. I racconti sono “palestre dell’ammaestramento alla vita”, attraverso le quali, si familiarizza con il mondo e si esplorano le proprie possibilità, poiché la narrazione per un verso è azione (il narrare) che si apre alle possibili configurazioni dell’immaginario, per un altro è relazione (si racconta a qualcuno che ascolta) e creazione di contesti. “Fare storie” significa non solo narrarsi ma anche sentirsi vivi attraverso le emozioni che non si situano prima o dopo la parola ma la pronunciano, la evocano, la animano ogni istante, nell’intreccio che contraddistingue il “discorso vivente”, la comunicazione condivisa rispetto alla meccanicità della mimesi. Nella stesura del testo è possibile rifarsi al precedente testo orale, modificarlo e ampliarlo. La scrittura si rivela cruciale per l’apprendimento perché ricompone la distanza tra interiorità ed esteriorità, anzi possiamo affermare che oggi la soggettività si costruisce con il linguaggio: c’è bisogno di parole, in particolare di parole scritte, cioè di un atto di auto trasformazione che può diventare una specie di atto di nascita di nuovi soggetti narranti. Dentro ciascuno di noi ci sono dunque, contemporaneamente, un io e una lei o un lui, un noi e un loro. Un procedimento narrativo è incompleto se non si sottopone all’onere della presa di distanza, rappresentato dalla lettura della propria storia come se fosse stata scritta da un altro o come se non gli fosse mai appartenuta. Lo scrittore, diventando lettore di sé, si scopre diverso da chi pensava di essere.
Brano tratto da “Educazione al femminile” di Raffaella Biagioli.